Pochi alimenti dividono il campo – anche quello dei nutrizionisti – come le uova: sono un fattore di rischio cardiovascolare e vanno fortemente limitate, o sono un cibo sano ed economico da incentivare? Proviamo a fare chiarezza. Le uova – insieme a carni e affettati, pescato, latticini e formaggi – fanno parte del gruppo di alimenti ricchi di proteine animali, quelli che – insieme ai legumi – a tavola chiamiamo “secondi”. Il consumo di uova in Italia è notevole, con oltre 200 unità l’anno, per una media di circa 4 uova settimanali. Dal punto di vista dei nutrienti, oltre a 7 grammi di proteine di alto valore biologico (per la presenza di tutti gli aminoacidi essenziali), le uova contengono vitamina A e precursori (β-carotene), vitamina D e vitamine del gruppo B (B1, B2, B3, B6, B12), fosforo e calcio, zinco, potassio, zolfo e ferro, nella miglior forma biodisponibile come ferro eme. Come apporto di energia un uovo medio (circa 60g) fornisce 70 Calorie; i circa 5 grammi di lipidi hanno notevole colesterolo (190-200 mg, in pratica buona parte della quantità giornaliera consigliata) e acidi grassi, soprattutto saturi. Per questo motivo le linee guida raccomandano di non superare la quota di 2 uova settimanali; va, comunque, osservato che il colesterolo proveniente dal cibo è responsabile dell’aumento della colesterolemia solo per un 25-30%; nella prevenzione delle malattie cardiovascolari fattori di rischio come fumo e sedentarietà, obesità e cibo-spazzatura hanno un ruolo molto maggiore. Da sfatare, inoltre, la credenza –  ancora molto diffusa – che le uova facciano male al fegato: al contrario, le uova contengono molti aminoacidi epatoprotettori e inositolo, una molecola (detta anche vitamina B7, ma non è una vitamina) prescritta in caso di steatosi epatica. Diversamente dal tuorlo (la parte arancione), l’albume d’uovo ha pochissimi grassi e poco colesterolo, risultando non problematico anche per le persone con valori di colesterolo leggermente alti o calcoli alla colecisti; l’unica criticità è la sua scarsa digeribilità da crudo; la cottura, invece, neutralizza l’avidina, la proteina che blocca l’assorbimento della vitamina H (biotina); per le proteine del tuorlo il discorso si rovescia: hanno una migliore digeribilità da crude, rispetto ad una cottura eccessiva. Ecco il motivo del famoso rosso d’uovo dell’infanzia dei sessantenni di oggi, come il sottoscritto. La cottura delle uova è sempre consigliata – meglio alla coque o lessate – poiché con il consumo crudo c’è il rischio di contaminazione da Salmonella. L’intossicazione alimentare legata a questo batterio (salmonellosi) è in genere legata a uova ottenute da galline malate o allevate in condizioni igieniche precarie. Per utilizzarle crude – ad esempio nello zabaione o nel tiramisù – dopo averle montate, vanno messe a bagnomaria in un contenitore di metallo, mescolandole fino portarle a 60-65°C. Il consiglio è quello di utilizzare uova freschissime (categoria A extra), provenienti da allevamenti certificati e controllati, evitando uova di cui non si conosca la provenienza. Nella scritta sul guscio troviamo informazioni sul tipo di allevamento: il codice 3 significa allevamento in gabbia, il codice 2 allevamento a terra, il codice 1 allevamento all’aperto, il codice 0 è riservato all’allevamento biologico; sono presenti anche indicazioni sull’assenza di OGM nel mangime e sulla rinuncia agli antibiotici durante l’allevamento (vedi foto). In conclusione, 3-4 uova settimanali possono far parte di un’alimentazione sana ed equilibrata; sono raccomandate in particolare agli adolescenti – per il loro ottimo apporto di proteine, vitamine e ferro – e a chi fa la scelta vegetariana, rinunciando a carne e pesce; vanno, invece, consumate con moderazione (2 a settimana), non bandite, in caso di diabete; nel portarle a tavola è molto importante scegliere uova provenienti da galline allevate a terra o all’aperto, fare attenzione al consumo crudo e – nella cottura – preferire la bollitura che le rende molto più digeribili della carne (6-2015)