Le intolleranze alimentari sono reazioni avverse al cibo basate su meccanismi molto diversi dalle allergie alimentari; per prima cosa, si presentano solo a partire da una certa quantità di alimento (meccanismo dose-dipendente); inoltre, non è mai coinvolto il sistema immunitario (anticorpi); infine, non sono condizioni permanenti, possono essere presenti per alcuni mesi, sparire e poi ripresentarsi. I sintomi sono per lo più di tipo intestinale (dolore addominale, meteorismo, nausea, vomito) e sono legati alla quantità dell’alimento assunto (mentre nel caso delle allergie anche piccole quantità di cibo possono comportare sintomi importanti). Il 15 – 20% della popolazione riferisce di avere un’intolleranza alimentare, ma – se si approfondisce il problema – il dato cala sensibilmente. L’intolleranza al lattosio riguarda buona parte della popolazione mondiale ed è dovuta alla mancanza dell’enzima (deficit di lattasi) che spezza il latte nei suoi due zuccheri (glucosio e galattosio); la diagnosi viene fatta in modo molto semplice, con il test del respiro all’idrogeno (Breath test); se è positiva, bisogna fare attenzione a latte, formaggi freschi, panna, gelati, cioccolato, prodotti con burro e margarine; pochi problemi, invece, con yogurt e formaggi stagionati, come il parmigiano. L’intolleranza a fruttosio e sorbitolo riguarda zuccheri semplici contenuti in frutta, zucchero da tavola e sciroppo di fruttosio da amido modificato (HFCS, presente in moltissimo cibo spazzatura); si tratta di un malassorbimento abbastanza comune e non va confuso con la rara intolleranza ereditaria al fruttosio; la diagnosi è semplice e va fatta con il Breath test, la terapia consiste nell’evitare – per almeno 3 settimane – tutti i cibi contenenti elevate quantità di fruttosio, limitando il consumo di frutta e di alcune verdure; nel periodo estivo attenzione in particolare a pere, pesche, susine e ciliegie; se le cose migliorano, si reintroducono gradualmente gli alimenti vegetali eliminati, fino a trovare le quantità di frutta e verdura che possiamo mangiare senza eccessivi problemi; il discorso, naturalmente, non vale per il cibo spazzatura: dato che fa ingrassare e stimola gli stati infiammatori, prima ce ne liberiamo, meglio è. Il favismo è la terza importante intolleranza alimentare, dato che riguarda circa 400 milioni di persone; la malattia nasce dall’assenza di un enzima (la glucosio-6-fosfato-deidrogenasi), senza il quale diventa pericoloso consumare fave, piselli e alcuni farmaci, per il rischio di gravi anemie. Le zone in cui il favismo è molto diffuso – oggi in Italia soprattutto la Sardegna – sono le stesse in cui il protozoo responsabile della malaria (il plasmodium falciparum) era diffuso in nel passato, o lo è tuttora, perché i globuli rossi malati degli individui affetti da favismo sono relativamente resistenti alla sua infezione e venivano, quindi, per questo motivo selezionati.

Un’importante reazione avversa al cibo riguarda, infine, il nichel, un metallo che può penetrare lo strato corneo della pelle e legarsi a proteine della pelle, producendo in alcuni soggetti una reazione immunitaria di tipo ritardato che causa la dermatite da contatto; anche alcuni alimenti ricchi in nichel possono dare una reazione allergica, in particolare frutta secca, legumi, cioccolato, tè verde, verdure, grano o riso integrali, con sintomi per lo più cutanei o intestinali; fortunatamente solo poche persone presentano la sindrome sistemica da allergia al nichel (SNAS), nella quale vanno limitati i cibi che possono avere un alto contenuto del metallo; per tutti gli altri soggetti allergici al nichel, prima di togliere alimenti fortemente protettivi – come legumi, cereali integrali e frutta secca –  conviene prima verificare la positività ad un test specifico per l’allergia e poi intraprendere una dieta specifica. (nella foto Floris van Dyck, Pièce de banquet del 1622) (7-2019)