La prima associazione che viene in mente quando si parla di digiuno è con la religione. Il ramadan è sicuramente la forma di digiuno più conosciuta, essendo praticata da oltre un miliardo di musulmani, ma anche le altre religioni praticano diverse forme di astinenza dal cibo. Nel calendario ebraico sono previsti alcuni giorni di digiuno, come memoria di avvenimenti storici, mentre nell’induismo il digiuno è uno strumento di autodisciplina per raggiungere l’armonia tra corpo e spirito. Tra i cattolici il digiuno simboleggia la partecipazione alla passione e alla morte di Cristo, soprattutto nei giorni che precedono la Pasqua. Da alcuni anni chi studia la longevità ha scoperto che in molti animali il digiuno regolare allunga la vita e migliora il metabolismo e la salute cardiovascolare. Dai modelli animali il digiuno è passato alla nostra specie, con testimonial famosi che praticano il digiuno intermittente. Il libro sul digiuno della biologa Antonella Viola sta avendo molto successo, come il testo La dieta della longevità del biologo Valter Longo, per non parlare del lavoro di 10 anni fa del professor Umberto Veronesi, La dieta del digiuno. Le varie forme di digiuno in effetti sembrano strategie semplici ed efficaci per allungare la vita e mantenersi in forma e in salute. Ma esistono prove scientifiche a loro favore? Intanto, vediamo che cosa si intende per digiuno intermittente. Una prima versione è la dieta 5:2, nella quale si assumono 500- 600 calorie – tra un terzo e un quarto del fabbisogno quotidiano – in due giorni non consecutivi della settimana. Una seconda versione è il modello 16:8, nel quale il consumo di cibo è concentrato in otto ore. Una terza versione – meno impegnativa – prevede di allungare il digiuno notturno ad almeno 12 ore, evitando spuntini dopo una cena anticipata. Tutti e tre i modelli si basano sul fatto che i nostri antenati hanno vissuto la maggior parte del tempo con un’economia di caccia e raccolta, nel quale il digiuno era un evento del tutto naturale e frequente. L’idea di proporre un modello di consumo selezionato dall’evoluzione ha sicuramente dei punti di forza. Vediamo, però, anche gli aspetti critici.

1) La prima criticità è semplice: i vari modelli di digiuno non sono adatti a tutti, in particolare non sono adatti ai bambini, agli anziani e a tutte quelle persone con particolari condizioni cliniche, come anemia, bassa pressione, calcoli biliari.

2) Il digiuno potrebbe favorire disturbi del comportamento alimentare (DCA) o riattivarli in chi ne ha sofferto. Chi riesce a non mangiare per 8-12 ore, può provare a digiunare per 16-20 ore, secondo il modello più estremo di digiuno intermittente; in ogni caso saltare i pasti può creare isolamento e danneggiare la socialità.

3) Per alcune persone il digiuno rischia di far saltare la prima colazione, un pasto fondamentale. Lo stesso Longo ricorda che “Saltare la colazione è associato a una vita più breve, a più malattie cardiovascolari e a molti altri problemi”.

4) Nel digiuno prolungato la possibilità di perdere massa magra è notevole. Dopo molte ore di digiuno il corpo inizia a scomporre sia le riserve di grasso sia i muscoli. Si ha una iniziale perdita di peso – per il grande contenuto in acqua del tessuto muscolare. Nel tempo il peso viene recuperato, ma non la massa muscolare.

5) In alcune persone, infine, il digiuno potrebbe essere visto come un disco verde per abbuffarsi di cibo spazzatura nelle ore in cui si ha libero accesso al cibo. Gli sforzi sarebbero tutti concentrati nel rispettare gli intervalli di restrizione, liberando al momento dei pasti aspetti compulsivi – stimolati dalla protratta ipoglicemia – con conseguenti assunzioni inadeguate di cibo.

In conclusione, sappiamo da anni che la riduzione del 20-30% del fabbisogno quotidiano, comporta un miglioramento dello stato di salute complessivo. Ma questi dati sono supportati da forti evidenze scientifiche solo negli animali, in particolare nei topi e nei primati. Per la nostra specie i dati sono ancora insufficienti. Servono studi condotti per tempi più lunghi e con campioni più ampi  (persone con peso normale o in eccesso, con malattie metaboliche e non) per arrivare a conclusioni significative. Nel frattempo un recente report del Centers for disease control and prevention ha sollevato molti interrogativi. L’indagine ha riguardato 20.000 statunitensi, seguiti per oltre un decennio. Per loro il digiuno intermittente non ha avuto alcun beneficio, ma ha aumentato il rischio di morte. Secondo il professor Giuseppe Remuzzi Questo studio è importante perché l’idea di limitare entro poche ore l’assunzione del cibo sta diventando molto popolare da noi e dappertutto, ma a lungo termine può fare male, anche a chi è malato di cuore o ha un tumore.”. (nella foto la pagina Facebook del prof. Valter Longo)