Modelli alimentari a base vegetale, diete vegetariane e vegane sono in costante aumento nel nostro Paese; secondo il rapporto Eurispes 2014, i vegetraiani rappresentano ormai circa il 7% della popolazione, 4,2 milioni di persone (contro i 3,7 del 2013). Nella galassia vegetariana i vegani – che rifiutano qualsiasi alimento collegabile agli animali – sono circa il 10%, il restante 90% consuma uova, latte e formaggi, facendo spesso attenzione alle condizioni di allevamento degli animali. Le due principali motivazioni alla base di questa scelta sono il rispetto per gli animali (31%) ed il valore salutistico del rifiuto – totale o parziale – dei prodotti animali (24%). La terza motivazione (9%) è il rispetto dell’ambiente: in genere chi è vegetariano adotta stili di vita eco-sostenibili, capaci di ridurre l’impatto delle scelte alimentari degli esseri umani sull’ambiente. Ricordiamoci che gli allevamenti di bestiame sono tra i principali responsabili dell’inquinamento terrestre. Il più illustre testimonial vegetariano è sicuramente il professor Umberto Veronesi, che ci ricorda spesso quella ampia fetta di tumori (30%) legata a diete carnee ricche di grassi saturi associate all’obesità. Con regimi vegetariani equilibrati è, inoltre, possibile ridurre l’incidenza di malattie cardiovascolari e diabete. La scelta vegetariana, infine, riduce il rischio di intossicazioni alimentari, essendo gli animali le principali cause di questo tipo di infezioni intestinali. Per tutti questi motivi il passaggio alle diete a base vegetale in linea di massima comporta benefici per la salute; a mio avviso permangono, comunque, alcuni punti critici da non sottovalutare. Il primo rischio è la monotonia alimentare; rinunciando a carni, pesci, molluschi, crostacei, (per i vegani anche uova e miele, latte e formaggi), ci si ritrova spesso a cucinare sempre le stesse cose o a ricorrere ad alimenti tutt’altro che naturali, come alcuni derivati della soia. Il secondo rischio è quello della difficoltà conviviale: nelle cene con amici, nelle feste con cibi tradizionali caratteristici della nostra storia ci si ritrova inevitabilmente con uno o più piatti da rifiutare. Il terzo rischio riguarda i nutrienti carenti; la vitamina B12 è importante per la maturazione dei globuli rossi e per la formazione del rivestimento delle fibre nervose; è presente solo negli alimenti animali, passando a diete prive di carne e pesce in media i depositi si esauriscono dopo circa un anno, pertanto bisogna assumerla con integratori o con cibi fortificati; il ferro è presente in molti vegetali, ma è utilizzabile (bio-disponibile) solo all’1%  rispetto al 10% di quello dei prodotti animali; ai vegetariani, alle donne in particolare, conviene controllare sideremia (ferro circolante), transferrina (sistemi di trasporto) e ferritina (depositi); la terza possibile carenza è quella dei famosi omega 3, grassi essenziali estremamente benefici per la nostra salute, ma presenti nel pesce pescato in mare. Il quarto rischio si riferisce al possibile accumulo di due anti-nutrienti; i fitati (presenti nelle proteine di cereali, legumi e, soprattutto, soia) possono ridurre l’assorbimento di zinco, calcio, magnesio e ferro; gli ossalati (presenti in cereali integrali, cavoli e spinaci) possono diminuire l’assorbimento di ferro, magnesio e calcio. Il quinto rischio è legato specificamente alla soia; il 90% della soia mondiale è geneticamente modificata (OGM), con rischi da valutare nei prossimi anni; le proteine di soia isolata, con cui si fanno le imitazioni di carne e i prodotti caseari a base di soia, sono prodotte in impianti industriali con pesanti trattamenti chimici. In conclusione: sì alla scelta vegetariana, ma con attenzione: una dieta strettamente vegetariana non è semplicissima, per ragioni di scelta e preparazione dei cibi, per la cura e il tempo che questo modo di mangiare richiede, ma – come ha scritto qualche anno fa l’American Dietetic Association – “le diete vegetariane correttamente impostate sono sane, adeguate dal punto di vista nutrizionale e possono garantire alcuni benefici nella prevenzione e nel trattamento di determinate malattie.” (3-2015)