Le diete chetogeniche sono sempre più citate nei social. Molti le hanno sperimentate o vorrebbero farlo, soprattutto per perdere i chili di troppo presi durante il lock-down. Ma di che cosa stiamo parlando esattamente?

La prima cosa importante da sapere è che non esiste ancora un modello standard di dieta chetogenica. Per limitarci agli approcci più seri abbiamo almeno 6 modelli diversi con queste caratteristiche: carboidrati sempre molto ridotti (dal 2 al 20%, rispetto al 50-55% consigliato); proteine molto variabili (dal 10 al 30%, rispetto al 15% raccomandato), grassi, sempre in forte eccesso, con il doppio o il triplo del valore consigliato (dal 60 al  90% rispetto al 30%), Questo è, pertanto, il primo limite dei modelli chetogenici, una forte eterogeneità, probabilmente dovuta al numero – per ora – limitato di studi che possano giustificare un protocollo condiviso, come quello della dieta mediterranea. A questo proposito l’importante rivista medica JAMA ha ricordato che il grande entusiasmo per le diete chetogeniche nel trattare diabete e obesità non è supportato da evidenze scientifiche.

Il secondo aspetto rilevante è la durata molto limitata del loro utilizzo. A parte gli studi in ambiente ospedaliero – dove possono essere somministrate anche per 12 mesi – queste diete in genere vengono proposte per periodi brevi, di poche settimane. Si perde peso, per lo più acqua (legata al difficile smaltimento dei corpi chetonici prodotti come fonte energetica al posto dei carboidrati), poi si riprende a mangiare come prima e i chili tornano. Nessuna dieta può funzionare in tempi brevi: per smaltire la massa grassa e mantenere la massa magra (i muscoli) serve tempo e, soprattutto, bisogna mantenere per tutta la vita i cambiamenti acquisiti, come ben sa chi fa diete da anni senza risultati.

Il terzo punto problematico dei modelli chetogenici è proprio l’assenza di ogni aspetto educativo, poiché veicolano la falsa credenza che la colpa dell’epidemia mondiale di obesità e diabete sia dovuta ai carboidrati e non al cibo-spazzatura che ha invaso il pianeta. Come tutte le altre diete dimagranti alla moda degli ultimi 150 anni vedono la pagliuzza e non la trave (“Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio di tuo fratello” Luca 6, 42).

Un quarto punto critico è rappresentato dagli effetti collaterali, da non enfatizzare ma neppure trascurabili (nausea, stitichezza e stanchezza). Soprattutto nei mesi più caldi va segnalato il rischio di disidratazione e le alterazioni del tono dell’umore.

L’ultima osservazione riguarda i costi di queste diete e il piacere gastronomico nel periodo in cui vengono adottate. Nelle 3-4 settimane di chetogenesi il menù è molto standardizzato, per la necessità di assumere dai grassi il 75-80% delle calorie, eliminando di fatto cereali e legumi. Allestire un menù vario in queste condizioni non è semplice e si rischia continuamente di uscire dallo stato di chetosi fisiologica che si vuol mantenere limitando a 20-50 grammi i carboidrati giornalieri. Per questo, stanno iniziando a comparire sul mercato pasti preconfezionati che rispettino il modello chetogenico. Francamente non sembra il massimo, sia per la spesa da sostenere sia per l’idea di fondo di mettere in antitesi un buon pasto e un obiettivo di salute. Data la necessità di agire su periodi molto lunghi, invece, il piacere della tavole andrebbe sempre mantenuto, proponendo piatti gustosi, sani ed equilibrati, per mantenersi in salute, per perdere peso e anche per sviluppare massa muscolare. Se esistesse una formula della sana alimentazione non sarebbe mai “piacere o salute”, ma “piacere e salute”. (nella foto Il convitto degli Dei, 1551, di Taddeo Zuccari e Prospero Fontana, Salone da Parnzo di Villa Giulia, da Wikipedia)