La celiachia o malattia celiaca è una condizione conosciuta da molto tempo ma esplosa solo negli ultimi decenni. Nel passato era poco frequente, soprattutto per due motivi. Il primo fattore che la limitava era il lungo allattamento materno, grazie al quale i bambini iniziavano a mangiare i cereali con l’intestino ben sviluppato e maturo. L’altro fattore limitante erano le tante parassitosi intestinali che fornivano un bersaglio naturale al nostro sistema immunitario, riducendo fortemente le malattie autoimmunitarie, patologie in cui il nostro organismo produce difese contro propri componenti. Oggi la celiachia è molto frequente, con una percentuale di popolazione colpita di circa l’1%; secondo l’Associazione Italiana Celiachia (AIC) ai circa 200.000 pazienti celiaci già diagnosticati – 2/3 dei quali sono donne – andrebbero aggiunte altre 400.000 persone inconsapevoli della loro condizione, per un totale nel nostro Paese di 600.000 celiaci. La celiachia può essere definita un’intolleranza permanente al glutine, in particolare alle prolamine (che nel grano prendono il nome di gliadine), le principali componente proteiche del glutine; il glutine si forma durante l’impasto con acqua della farina di molti cereali di uso comune, come grano (compresa la varietà kamut), farro, orzo, segale e avena. Il problema che scatena la reazione immunitaria è il mancato assorbimento del glutine a livello intestinale; questo produce un complesso meccanismo che alla fine porta a un’infiammazione cronica dell’intestino con rarefazione o scomparsa dei villi intestinali. Il risultato finale è il malassorbimento di nutrienti e il conseguente rischio di malnutrizione. Le principali conseguenze del malassorbimento legato alla celiachia sono la diarrea e la presenza di sostanze grasse non digerite nelle feci (steatorrea); se la celiachia inizia presto sono possibili riduzioni di peso e ritardi nell’accrescimento. Una volta formulata la diagnosi di celiachia, l’unica terapia è un’alimentazione priva di glutine, l’unica che permette la scomparsa di tutti i sintomi. A partire dal 2005 in Italia una legge garantisce alle persone celiache il diritto di avere un pasto senza glutine (gluten free) in tutte le mense pubbliche. Attualmente la spesa complessiva in Italia per gli alimenti senza glutine è di circa 150 milioni di euro, 130 dei quali nel circuito farmaceutico e 20 nella grande distribuzione (con i soli marchi COOP ed Esselunga di Firenze che permettono di accedere gratuitamente ai prodotti gluten free). Mangiare senza glutine è possibile, ma non facile, soprattutto in Italia, per le nostre particolari tradizioni alimentari. In particolare gli adolescenti possono vivere una sensazione di diversità per il fatto di non poter mangiare pasta e pane, biscotti, pizza e quasi tutti gli alimenti confezionati, dalle merendine alle torte. In realtà, ormai esistono sul mercato delle varianti prive di glutine che portano la sigla degli alimenti senza glutine (la spiga sbarrata). La dieta senza glutine deve essere rigorosa, poiché bastano piccolissime quantità di glutine per far ripresentare i sintomi della malattia, e deve essere fatta per tutta la vita. L’AIC ha redatto un prontuario degli alimenti permessi (circa 1800) e di quelli da evitare: la guida viene aggiornata ogni anno. Sul sito dell’associazione www.celiachia.it si possono trovare anche gli indirizzi dei ristoranti e delle gelaterie gluten free. Al momento sono circa 1200 le strutture di ristorazione dove chi è celiaco può mangiare in sicurezza (nella foto Riposo al raccolto di Van Gogh, 1890) (2018)