Il diabete rappresenta attualmente uno dei principali problemi di salute pubblica nel mondo. La sua diffusione è in costante aumento, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo e nelle nazioni di recente industrializzazione. La relazione tra l’epidemia di diabete e lo stile di vita occidentale è ormai fuori discussione. Secondo le stime dalla International Diabetes Federation, nel 2010 c’erano 285 milioni di persone con diabete di tipo 2 nel mondo; 20 anni prima, nel 1990 erano circa 80 milioni (ma la diagnosi fino al 1998 era fatta con criteri meno restrittivi). Sembra che il diabete sta assumendo le caratteristiche di una vera e propria epidemia mondiale: nel 2030 potremmo avere 550 milioni di diabetici nel mondo, con l’80% dei nuovi casi nei Paesi emergenti. Oggi la spesa sanitaria per il diabete è l’11% del totale mondiale, una percentuale destinata ad aumentare. E in Italia?  I dati parlano di circa 3 milioni di persone con il diabete di tipo 2 diagnosticate e seguite: quasi il 5% della popolazione; un altro milione di persone, inoltre, ha il diabete di tipo 2 ma non lo sa e, pertanto, non si cura; circa due milioni e mezzo di persone, infine, hanno difficoltà a mantenere la glicemia nei valori raccomandati (126 mg/dl); nel 2030 si prevedono in Italia 5 milioni di diabetici. Attualmente per le malattie collegate al diabete ci sono circa 27.000 morti l’anno; per il nostro Servizio Sanitario Nazionale curare il diabete costa circa 10 miliardi di euro l’anno: tra farmaci, ricoveri ospedalieri, trattamento delle gravi complicazioni (retinopatia, insufficienza renale, malattie cardiovascolari o danni al sistema nervoso).

A livello medico la diagnosi di diabete si fa misurando a digiuno la glicemia, ossia  la concentrazione  nel sangue del glucosio, il più importante zucchero dell’organismo; si parla di diabete se risultano 2 o più misurazioni della glicemia superiori o pari a 126 mg/dl nell’arco di 6 mesi o se compaiono i segni e i sintomi del diabete – come dimagrimento, sete intensa, eccessiva quantità di urina nelle 24 ore – e glicemia superiore a 200 mg/dl; nei casi sospetti, in cui la glicemia è normale, si effettua una  “curva da carico” di glucosio. Queste sono le nuove indicazioni; fino al 1998 una glicemia di 140 mg/dl era considerata il limite della normalità. Da qualche anno si utilizza un altro parametro per fare la diagnosi di diabete. Si chiama emoglobina glicata o glicosilata (HbA1C) e offre un’informazione di 2-3 mesi di valori medi della glicemia; un valore di emoglobina glicata uguale o superiore a 6,5% definisce la presenza di diabete

Il diabete insulino-dipendente, o tipo 1, è una malattia auto-immunitaria: le cellule del pancreas che producono   insulina (cellule beta) vengono attaccate e distrutte dal sistema immunitario, lasciando l’organismo privo dell’ormone insulina, indispensabile per immagazzinare il glucosio circolante; il diabete di tipo 1 colpisce soprattutto bambini e giovani – è la più diffusa malattia cronica pediatrica –  e rappresenta circa il 10% di tutti i casi di diabete.

Il diabete non insulino-dipendente, il secondo tipo, è quasi sempre associato ad obesità (moltissimi diabetici sono obesi) e costituisce il 90% di tutti i casi di diabete: è chiaramente un risultato della nostra società, del nostro modo di vivere. La diffusione del diabete ha iniziato a salire vertiginosamente a partire dagli anni ’60, con i miglioramenti economici che hanno portato a cambiare alimentazione e abitudini, riducendo drasticamente la spesa energetica e aumentando la quota calorica. L’alimentazione dei pazienti diabetici è soprattutto un’alimentazione sana, senza eccessi nella quantità dei carboidrati (complessi e possibilmente da fonti integrali) e con l’attenzione a preferire cibi che non facciano aumentare troppo la glicemia; ci sono apposite tabelle – facilmente consultabili – che elencano i cibi (e le preparazioni) con l’indice glicemico più favorevole. Per fare due esempi, meglio la pasta del riso, meglio i legumi delle patate; in generale, si tratta di seguire le indicazioni che da anni vengono rivolte alla popolazione generale, con lo schema dei tre pasti principali più i due spuntini (di frutta, anche per i diabetici) e con l’indicazione di una costante e piacevole attività fisica, vera e propria medicina per chi ha questo problema. Una recente ricerca clinica statunitense (DPP, programma di prevenzione del diabete) ha dimostrato che la riduzione del peso e l’aumento dell’attività fisica sono più efficaci del farmaco ipoglicemizzante più utilizzato, dagli anni ’60 a oggi, la metformina. (10-2013)