Crudismo e paleodiete
Da alcuni anni si stanno diffondendo – a partire dagli Stati Uniti – alcuni modelli di alimentazione che tendono a limitare o eliminare del tutto alimenti cotti o provenienti da coltivazione. Crudismo e paleodiete si stanno, dunque, diffondendo, nel web e nella vita reale. Molti si chiedono se siano una risposta valida ai problemi di salute di oggi.
L’alimentazione crudista elimina completamente la cottura dei cibi. La prima osservazione sul crudismo riguarda il presunto positivo ritorno al passato, quando la tecnologia del fuoco non era ancora disponibile: in realtà, l’apparato masticatorio e digestivo degli ominidi di allora, così come gli alimenti disponibili, erano completamente diversi. Sicuramente il crudismo presenta alcuni vantaggi: evita la perdita di vitamine e sali minerali termolabili (gruppo B e potassio, in particolare), riduce la quantità giornaliera di grassi e proteine, spesso responsabili di molte patologie cronico-degenerative, impedisce l’assunzione di sostanze tossiche legate alla cottura. La dieta media crudista – 70-80% di frutta, 10-20% di verdure, 5-10% di noci e semi – appare, però, sbilanciata sui carboidrati a scapito di proteine e grassi; l’assenza di cottura, inoltre, potrebbe favorire le tossinfezioni alimentari, un fenomeno sempre più diffuso, anche nel nostro Paese.
L’altra dieta, ancora più diffusa del crudismo, è la dieta paleolitica (o paleodieta o dieta delle caverne). Chi la segue cerca di ricreare il regime dietetico delle popolazioni vissute nel periodo precedente la scoperta dell’agricoltura: prodotti di caccia e pesca, raccolta di vegetazione spontanea e di piccoli animali; sia il crudismo sia la paleo-dieta si basano sul fatto che dal Paleolitico ad oggi, a fronte di una impressionante evoluzione culturale, tecnologica e scientifica, la nostra biologia è rimasta sostanzialmente immutata. Pertanto, anche l’alimentazione si dovrebbe basare su cibi presenti prima dello sviluppo dell’agricoltura; i nostri antenati si nutrivano di selvaggina di ogni tipo, pesce e crostacei, rettili, vermi e insetti, uccelli, uova, bacche e frutti, miele, vegetali appena spuntati, radici e bulbi, semi. Oggi sembra molto difficile – se non impossibile – trovare veri “paleo-alimenti” alle nostre latitudini; la carne selvatica del Paleolitico aveva, ad esempio, un rapporto tra omega-3 e omega-6 di 1:1, oggi non più presente; stesso discorso per i vegetali, che presentano – dopo lo sviluppo delle tecniche agricole – caratteristiche nutrizionali molto diverse dal passato.
Una dieta che escluda cereali e latticini e preveda abbondanti consumi di verdura e frutta ha, comunque, aspetti positivi e protettivi nei confronti di malattie sempre più diffuse, dal diabete alla celiachia. Non ho particolari obiezioni di tipo scientifico al crudismo e alla paleo-dieta. Oggi la maggior parte della popolazione mangia sempre più male e si ammala sempre di più: modificare il nostro modello alimentare “occidentale” è in qualche modo inevitabile. Il problema è in che modo farlo. Non utilizzare i cereali e i loro derivati, i legumi, il latte e i suoi derivati, il tè, il caffè, il cacao, il vino, oppure non cuocere nessun alimento, può dare benefici sul piano della salute individuale, ma solo collocandoli in uno schema nutrizionale equilibrato e senza farli diventare scelte d’identità. (6-2013) (nella foto: Banco di macelleria di Pieter Aertsen, 1551)
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Nutrizionista Dott. Daniele Segnini
Sono laureato in Scienze biologiche (110/110 e lode) all’università La Sapienza di Roma e sono iscritto all’Ordine Nazionale dei Biologi (n. 050515). Faccio parte dell’Associazione Biologi Nutrizionisti Italiani (ABNI), di Slow Food e dell’Associazione di Medicina e Sanità Sistemica (ASSIMSS); dal 2007 scrivo un blog di divulgazione scientifica su alimentazione, antropologia, biologia, dipendenze, ecologia, invecchiamento, salute, sessualità e sport (www.danielesegnini.it) Sono allenatore FIPAV di pallavolo e faccio parte dell’Albo d’oro dei Nutrizionisti Italiani.
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