Benessere in tarda età
Benessere in tarda età. L’Italia – insieme al Giappone – è il Paese più longevo del mondo; tra 15 anni l’Italia e gli altri Paesi occidentali avranno tra il 20 e il 30% della popolazione sopra i 65 anni. Nel Belpaese sono presenti oggi oltre 15.000 ultracentenari, il triplo rispetto a 10 anni fa, con un rapporto donne-uomini di circa 5 a 1. Molti si chiedono come definire con precisione i confini della terza età. Di fatto, ogni società definisce la vecchiaia con criteri propri; non esiste nessuna soglia anagrafica accettata universalmente; negli Stati Uniti si diventa vecchi a 65 anni, perché a quell’età si ha diritto alla pensione; nelle culture aborigene della Nuova Guinea, invece, si è vecchi già a 50 anni. Molte meno difficoltà, invece, nel definire le caratteristiche delle popolazioni longeve e in buona salute, dato che presentano quasi sempre quattro elementi comuni: buone relazioni familiari e profondo rispetto per gli anziani; assenza o scarsa diffusione del tabagismo; notevole attività fisica; diete basate sui vegetali. Tutto ciò sembra l’ennesima conferma del fatto che la nostra salute sia la risultante di un triplice stato di benessere: benessere psichico, benessere biologico, benessere sociale.
Benessere psichico. Il grande psicologo James Hillman ha scritto parole illuminanti sul significato dell’invecchiamento: “Invecchiando io rivelo il mio carattere, non la mia morte”: la vecchiaia, dunque, non è una tara da nascondere e da odiare, una condizione da sacrificare sull’altare dell’odierno culto della giovinezza, ma un’età della vita da riconsiderare benevolmente, con numerosi vantaggi psicologici. Secondo Hillman l’invecchiamento aiuta a definire e a maturare il carattere delle persone; ci permette un salutare distacco dalla frenesia del presente; ci offre la possibilità di esprimere liberamente anticonformismo e autonomia di giudizio; ci consente, inoltre, di rinunciare alla insensata competizione quotidiana per il successo.
Benessere biologico. Invecchiare bene dipende anche dai nostri geni, ma non è l’aspetto principale: nessuno di noi è un semplice prodotto del suo DNA. La nostra biologia, insieme alle cure mediche e all’ambiente in cui viviamo decide una parte della nostra salute; molto dipende dai noi, ossia dai nostri stili di vita e dalla società in cui viviamo.
E questo ci porta al terzo aspetto, al benessere sociale. Molte società occidentali sono arrivate alla soglia di 80 anni di speranza di vita alla nascita. Il rischio oggi è quello di ritornare indietro, a dispetto dei progressi medici ed igienici degli ultimi 70 anni; il peso delle disuguaglianze economiche ancora oggi è fondamentale nel decidere quanto ci ammaleremo e quanto vivremo. Per rendere l’idea, se dividiamo la società inglese in 5 classi di reddito, le donne più ricche vivono in media sino a 80 anni, quelle più povere fino a 68 anni: il reddito in questo caso toglie 12 anni di vita e altrettanti, probabilmente, di vita in buone condizioni di salute alle donne meno agiate.
La mia esperienza di nutrizionista mi fa pensare che vi sia una terna di elementi che ci possono aiutare a invecchiare bene. Il primo elemento è la socialità. Sentirsi vivi e importanti per gli altri – siano figli, amici, parenti o conoscenti – ci mantiene giovani a livello emotivo e intellettivo; le relazioni umane gratificanti – sessualità inclusa – vanno sempre valorizzate e apprezzate. Il secondo elemento è l’attività fisica. Per milioni di anni i nostri antenati dalla mattina alla sera hanno camminato, hanno corso, si sono spostati per lunghe distanze, senza autobus, taxi o autovetture. L’evoluzione ha preso atto di questa realtà e l’ha scritta nella nostra biologia. Fare movimento in modo progressivo, costante e piacevole è l’unico modo che abbiamo per rispettare la nostra storia biologica. Il terzo elemento è l’alimentazione. Anche qui la maggior parte dei problemi vengono dalla nostra storia. La nostra è una storia di umanità affamata, alla disperata ricerca di cibi calorici per sopravvivere alle carestie, alle guerre, alle gelate e alle siccità che portavano fame. Oggi abbiamo il paradosso di disporre di troppo cibo e di troppa poca qualità. Potremmo imparare dal passato, mangiando meglio e di meno. Il modello di alimentazione che mette insieme qualità e appetibilità esiste e l’abbiamo inventato – insieme ad altri popoli vicini – noi Italiani: si chiama dieta mediterranea. (nella foto: un’immagine dal film Up della Pixar del 2009) (6-2016)
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Nutrizionista Dott. Daniele Segnini
Sono laureato in Scienze biologiche (110/110 e lode) all’università La Sapienza di Roma e sono iscritto all’Ordine Nazionale dei Biologi (n. 050515). Faccio parte dell’Associazione Biologi Nutrizionisti Italiani (ABNI), di Slow Food e dell’Associazione di Medicina e Sanità Sistemica (ASSIMSS); dal 2007 scrivo un blog di divulgazione scientifica su alimentazione, antropologia, biologia, dipendenze, ecologia, invecchiamento, salute, sessualità e sport (www.danielesegnini.it) Sono allenatore FIPAV di pallavolo e faccio parte dell’Albo d’oro dei Nutrizionisti Italiani.
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