L’anoressia, la scelta di rinunciare al cibo, sembra un atteggiamento anti-biologico. Come membri della specie Homo Sapiens, infatti, tutti dobbiamo soddisfare il bisogno biologico della nutrizione. A differenza degli altri animali, noi umani siamo, però, in grado di dare alle cose che mangiamo una forma e un valore. Il cibo nella nostra specie si presenta sempre in questo duplice aspetto: è quello che ci permette di vivere, ma è anche qualcosa con cui comunichiamo la nostra identità e le nostre emozioni. Alla luce di ciò l’anoressia appare, in primo luogo, un gesto clamoroso di negazione. In Italia i disturbi del comportamento alimentare coinvolgerebbero oltre due milioni di ragazze (dati del CIDAP, Centro Italiani Disturbi Alimentari Psicogeni), con circa un milione e mezzo di ragazze bulimiche – che si abbuffano e poi cercano di recuperare – e oltre 750.000 di ragazze anoressiche, che mangiano poco o niente. Da alcuni anni la tendenza riguarda anche i maschi, con circa 75.000 ragazzi anoressici e 150.000 bulimici. Secondo il Ministero della Salute, l’incidenza dell’anoressia nervosa negli ultimi anni risulta stabilizzata, mentre quella della bulimia nervosa è in aumento. Essere adolescenti, di sesso femminile, e vivere in una società occidentale, costituisce oggi il massimo fattore di rischio per l’anoressia. Nella famiglia delle persone bulimiche e anoressiche troviamo spesso, inoltre, situazioni di alcolismo e obesità (per la bulimia), depressione e disturbi del comportamento alimentare. Sembrano avere un certo peso rapporti molto problematici con i genitori e ambienti scolastici o esperienze di lavoro che incoraggino la magrezza (come il mondo della moda). Anche alcune attività sportive possono essere a rischio – la ginnastica artistica e la danza, ad esempio – soprattutto se sono presenti istruttori che spingono in modo eccessivo per la magrezza delle atlete o degli atleti. Oltre il 50% dei casi di anoressia e bulimia si risolve positivamente, mentre un altro 30% presenta una guarigione parziale; il restante 15-20% diventa cronico e non migliora. Tra i casi che non si riesce a trattare, la malnutrizione prolungata può anche essere causa di morte. Un ruolo non trascurabile in queste patologie sembra averlo la generale tendenza di società e mass-media ad attribuire all’aspetto esteriore e alla magrezza i caratteri dell’adeguatezza, della modernità, del successo. Al contrario, la grassezza, dal leggero sovrappeso all’obesità, viene continuamente stigmatizzata. Ritornando al mondo della moda, da tempo accusato di spingere le giovani donne all’anoressia, ha fatto discutere una recente legge varata in Israele. Per contrastare la generale tendenza ad idealizzare la magrezza innaturale delle modelle, il governo di Tel Aviv ha stabilito per legge che l’IMC  o Indice di Massa Corporea (il rapporto tra peso e altezza) di chi posa per la pubblicità non debba essere inferiore a 18,5. Per capirci, una modella israeliana alta 1 metro e 72 dovrà pesare almeno 54 chili. Non siamo sicuri che questa sia la strada giusta, però segnala la gravità del problema. Negli Stati Uniti l’associazione degli stilisti ha formulato alcune linee guida per raccomandare un’alimentazione e un ambiente di lavoro salutari per le modelle, ma senza regole precise sul peso. Che si mettano o meno limiti di legge, è evidente che serve una forte educazione a scuola e nei media per aiutare le tante giovani che soffrono di gravi disturbi alimentari a capire che la magrezza eccessiva è una trappola pericolosissima. (nella foto Egon Schiele, Nudo accovacciato di schiena, 1917) (3-2014)